Esperto in comunicazione e relazioni pubbliche, showman e autore – ideatore di manifestazioni di successo come il “Premio Artisofane, festival della Satira” e “Il Cinema in Diretta”, oltre che mattatore dello show “Comunico, dunque, sono” – Claudio Calì ha partecipato all’inizio di dicembre al workshop del Sant’Alessio “Decidere al buio”.
Claudio, un talento per la comunicazione innovativa. Ricordiamo le tue collaborazioni con autori e interpreti amatissimi – da Fabio Fazio a Gino e Michele, per arrivare a figure del calibro di Vincenzo Cerami – cui si aggiunge il tuo impegno nell’ambito della formazione. Hai detto: “Comunicare è una cosa seria… ma a volte non ce ne accorgiamo”. Il percorso al buio può essere una opportunità per aprire davvero gli occhi su questo aspetto fondamentale?
È proprio così. L’esperienza e l’attività del Sant’Alessio, a cui mi sono avvicinato in passato provando anche altre bellissime iniziative del Centro, vanno in quella direzione. Mi occupo di comunicazione attraverso le emozioni: quale occasione migliore dell’impegno del Sant’Alessio in questo senso?
Ancora dalle tue parole: “Saper vivere le emozioni altrui e proprie significa riuscire a vivere meglio”. Intelligenza emotiva, empatia: sono alcune delle risorse che il percorso al buio del Sant’Alessio intende attivare. Da esperto di comunicazione, che impressioni hai avuto, com’era il clima nella “black box”? Quali le reazioni dei partecipanti? Panico, collaborazione, ostentata sicurezza…
Anzitutto, è stata un’esperienza unica. Ne sto parlando tutti i giorni, con amici, colleghi e parenti. All’inizio è stato un po’ traumatico, perché il cervello improvvisamente si ritrova senza uno dei sensi principali – la vista – quindi non sai neppure dove ti trovi. Io ho avuto le mani fredde per un’oretta circa per l’ansia: meno male che tra i partecipanti ho conosciuto una fantastica Suor Giovanna che mi ha aiutato a scaldarmele. Al buio scatta la solidarietà e piano piano ci si ritrova, cercando di adeguarsi al cambiamento. L’ultima ora è stata bellissima: c’è stato – credo – un rilassamento collettivo e ci si è conosciuti attraverso la voce, attraverso gli altri sensi. È diventata anche un’occasione di umorismo. Bella, bellissima esperienza.
Il buio del Sant’Alessio è una dimensione formativa: l’obiettivo è sperimentare la crisi e trovare le risorse per uscirne. Quanto conta puntare anche nelle criticità sull’abbinata “fantasia e creatività”? Possono essere – per così dire – degli “occhi di riserva”? Sensi vicari rispetto alla vista, ma ugualmente fondamentali, proprio come tatto, udito, olfatto?
Mi inviti a nozze! Nei miei corsi insegno il pensiero laterale, ovviamente non una idea mia ma di Edward de Bono, che consiste proprio in questo, cioè stimolare la creatività e la fantasia per risolvere gli ostacoli e i problemi che ti pone la vita. Quindi va bene ricorrere alla razionalità e alla logica, ma ancora meglio saper utilizzare risorse come la fantasia e la creatività. C’è un manuale molto carino che consiglio sempre agli allievi dei miei corsi – manager, dipendenti di aziende, studenti, o anche “semplici” cittadini che vogliano migliorare le proprie capacità comunicative – che si chiama “Chi ha spostato il mio formaggio”: è un libricino di Spencer Johnson, un best seller che parla proprio di questo. Il formaggio rappresenta lo stato di benessere, di felicità. Quanto siamo davvero pronti al cambiamento? Il formaggio da un momento all’altro non si trova più: siamo preparati a questa evenienza? Ecco, prepararsi al cambiamento, alla ricerca di un nuovo formaggio, attraverso le modifiche che la vita ci impone – non tutte dipendenti da noi – è importante, basilare.
L’esperienza del buio: un’occasione formativa da diffondere?
Come momento di formazione, la inserirei addirittura nei miei corsi. E lo farò, perché dopo la mattina al Sant’Alessio ho pensato di aggiungere nelle mie lezioni un momento in cui benderò gli allievi e farò loro percepire voci, suoni, gusti, odori e poi, seguendo le tracce della vostra bravissima psicologa, porrò loro delle domande su quello che il cervello ha elaborato, su come hanno immaginato la persona, come si sono sentiti bendati. Non sarà come l’esperienza nella black box, però ci si avvicinerà. Di sicuro, sarà un’ulteriore occasione di comunicazione delle emozioni: ben venga!