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ELISA NODALE, VOLONTARIA DEL SERVIZIO CIVILE, RACCONTA IL SANT’ALESSIO

Informazioni generali

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“Qualche mese fa, dopo aver letto un bando del Servizio Civile Nazionale, senza neanche troppe speranze e una tesi inerente le immagini mentali, ho fatto domanda al centro Sant’Alessio – Margherita di Savoia per i Ciechi per concorrere come volontaria ai 4 posti messi a disposizione dalla Regione Lazio.

Quando sono arrivata qui, il 7 settembre scorso, non sapevo bene cosa aspettarmi, se da un lato vi era la paura di affrontare qualcosa a me del tutto ignota, dall’altro volevo mettermi in gioco e fare qualcosa di utile.

Prima di sostenere il colloquio conoscitivo, avevo letto qualche articolo e cercato informazioni sul mondo dei non vedenti. La cecità, però, è qualcosa di cui non si può avere una buona cognizione finché ci si sofferma in superficie, pensando unicamente a quali sono le difficoltà e cosa non si può fare a causa di questo handicap. La verità l’ho scoperta qui: le difficoltà si possono aggirare e il sessanta, settanta percento delle possibilità di riuscita dipendono da ciò che Schopenhauer chiamava nei suoi scritti “Wille zum Leben”, ossia, quell’impulso innato che è la forza di volontà.”

La vita al Sant’Alessio è molto lenta rispetto al caos che regna al di fuori dell’ente; ogni individuo ha i propri tempi e delle esigenze diverse che differiscono spesso da quelle degli altri utenti che frequentano il Centro. Sono i vari bisogni che servono da input agli operatori per costruire dei percorsi formativi e di riabilitazione costruiti sulla persona.

Nel servizio civile è previsto un periodo di formazione specifica per i volontari, ciò è molto utile perché alcuni impiegati dell’istituto, tramite le loro conoscenze pregresse, sviluppate negli anni e nel campo, ci hanno sensibilizzato alla cecità spiegandoci le cause e tutto ciò che di solito si cela dietro la parola cieco. Durante la formazione è stato molto interessante scoprire la storia dell’ente. Prima della legge Falcucci, che prevedeva l’integrazione dei disabili nelle scuole, il Sant’Alessio era una scuola speciale in cui i ragazzi non vedenti entravano in stretto contatto con altre persone con la stessa minorazione e venivano preparati al mondo lavorativo attraverso degli specifici corsi quali quello da centralinisti o quello musicale. Adesso la struttura si è evoluta e si divide in tre settori: il residenziale, l’ambulatoriale, e il semi-residenziale. Il primo settore è quello in cui sto prestando servizio in questo periodo. Come suggerito dal nome, chi frequenta questa sezione abita stabilmente nell’Istituto e svolge delle attività riabilitative ad personam. Gli anziani che fanno parte del centro mi hanno insegnato molte cose. Ho scoperto che tra le mura di un istituto che, troppe volte, viene inosservato dai passanti, si nascondono dei veri e propri artisti. Se è vero, infatti, che gli utenti non possiedono l’immediatezza della vista, è vero anche che attraverso i ricordi (molti di loro vedevano) si attinge a quel processo immaginativo che Badley chiamava “buffer d’immagine” e riescono a creare qualcosa di stupendo. Molti di loro compongono musica e scrivono poesie.

Il settore ambulatoriale è quello che si occupa di una riabilitazione temporanea in cui gli utenti vengono seguiti da vari professionisti. Tiflotecnici e terapisti occupazionali insegnano loro le tecniche di autonomia personale e ad orientarsi tramite l’utilizzo del bastone bianco. Sono variegate le “attività ludico-riabilitative” che offre il Sant’Alessio; il corso di ceramica, per esempio, aiuta i non vedenti a sviluppare una certa dimestichezza alla manualità, ma soprattutto insegna loro e anche a me che molto spesso siamo noi stessi a porci dei limiti. Le attività ricreative sono molto più che semplici passatempi poiché, per il fruitore, imparare a lavorare la creta è un vero e proprio stimolo mentale che fa superare quegli ostacoli che sembravano insormontabili.

Il settore ambulatoriale si occupa anche della fascia evolutiva. I bambini, nel centro, prima di iniziare il percorso scolastico, apprendono il Braille e l’uso di tutti quegli strumenti che gli facilitano la comprensione delle materie scolastiche.

Il settore semi-residenziale è soprattutto adibito alla pluridisabilità. Gli utenti del reparto frequentano il centro tutti i giorni dalla mattina fino alle 14.30 e sono costantemente seguiti da operatori socio-sanitari e psicologi che si prendono cura del singolo individuo e della rispettiva famiglia di provenienza. Vittorio, utente del centro, dà una forte testimonianza di ciò che per lui è l’inclusione nelle attività. In una pseudo-intervista si è dichiarato entusiasta del corso di ballo che si è tenuto qualche anno fa nel teatro.

La mia esperienza è che pensavo di dare tanto e invece ho ricevuto il doppio. Stare al Sant’Alessio significa entrare in una grande famiglia dove la parola chiave è reciprocità. Ovviamente, come in tutte le grandi famiglie, c’è qualcosa che si potrebbe migliorare. Per esempio gli utenti, quelli residenziali, dovrebbero avere più contatti con il mondo esterno poiché troppo spesso, nonostante l’entusiasmo iniziale, rimangono nel porto sicuro del Centro declinando le varie attività che si svolgono al di fuori dell’istituto, rischiando così un’alienazione dalla realtà. Non basta sentire il telegiornale per essere informati, il mondo si deve vivere in prima persona e non da spettatore passivo. In questo mio percorso spero di riuscire a contribuire ai cambiamenti positivi che ci saranno al Sant’Alessio perché anch’io voglio fare la mia parte!”

(Elisa Nodale, volontaria del Servizio Civile)

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