Il corpo ideale per la maggior parte dei professionisti della cura e della formazione è un corpo asessuato.
L’attivazione del desiderio erotico nel contesto professionale, peraltro del tutto inevitabile, è considerato il più delle volte come un impaccio per il percorso terapeutico e formativo, un problema da gestire con difficoltà, da rimuovere, da negare il più possibile.
Tutto questo è comprensibile per varie ragioni.
Prima di ogni cosa sappiamo bene quanto quella particolare situazione di vertice legata al ruolo del terapeuta o del formatore possa favorire abusi devastanti per entrambi i poli della relazione.
Il considerare l’emotività, e in particolare la sessualità che ne rappresenta uno dei vertici, come antitetica a qualsiasi progetto razionalmente definibile, rappresenta poi un diffuso luogo comune, una mitologia non facile da estirpare.
E se invece l’eros fosse un’energia alla quale poter attingere, anche nei contesti finalizzati alla promozione umana, più serenamente? Se bastasse esplicitare negli spazi e nei modi adeguati la sessualizzazione dei corpi per lavorare in maniera più efficace senza sprecarsi in inutili equilibrismi per evitare di percepirla?
Noi pensiamo tra l’altro che accettare la costante presenza dell’eros, il più delle volte considerato pericoloso, non necessariamente comporterebbe una sua altrettanto costante messa in scena “fisica”, sempre esplicita e diretta.
Invece, se anche rivedessimo la nostra concezione dei desideri, buona parte della problematicità del campo si stempererebbe.
Non è più attuale considerare i nostri desideri come sempre e soltanto incerti tra due strade, l’essere appagati o il farci vivere nella frustrazione. E che queste due strade siano lineari, con un inizio e una fine ben riconoscibili.
Ogni desiderio, invece, è solo uno dei tanti punti che delineano strutture circolari costantemente attive, la cui ritmicità non s’interrompe mai del tutto né con l’appagamento né con la frustrazione, mantenendo sempre la potenzialità di riplasmare dinamicamente i suoi percorsi; pertanto nel suo andamento a spirale, mai del tutto identico al giro precedente, il desiderio svolge comunque un ruolo fondamentale anche semplicemente per mantenere la nostra stessa struttura vitale viva, funzionale e in movimento.
Anche perché una visione esclusivamente sessuocentrica del desiderio è da considerarsi superata, il nostro funzionamento non seguendo per nulla le regole di una struttura a cipolla le cui sfere a mano a mano sfogliate avvicinandosi al centro, svelerebbero la nascosta natura sessuale di ogni nostro atto.
In ogni caso, sia il piacere abbia, di fondo, un carattere sempre sessuale o meno, di sicuro non nasce costantemente finalizzato a un atto concreto; esattamente come ormai non è più sostenibile che tutte le grandi realizzazioni etiche e artistiche che gli esseri umani riescano a realizzare siano, come sosterrebbe una psicoanalisi molto schematica, un sistema per difendersi dai desideri sessuali irrealizzabili.
Tanto per essere più chiari, rileggere ad esempio la complessità delle esperienze mistiche e dell’ascesi esclusivamente come sublimazione della sessualità vuol dire negare le complessità culturali stratificate in ognuno di noi.
Per il modello psicoanalitico tradizionale, infatti, alla base delle nostre azioni vi sarebbe sempre una pulsione sessuale che in alcuni casi, non potendo assolutamente essere agita, sarebbe, sotto mentite spoglie, comunque appagata attraverso copioni che solo apparentemente non avrebbero nulla di sessuale, come per l’appunto l’amore per dio, per l’arte, l’estasi mistica e così via.
Questa descrizione non può essere del tutto esaustiva per la semplice ragione che non tiene conto delle varie appartenenze identitarie del soggetto.
In molti casi, a nostro parere, servirebbe più l’antropologia culturale che una schematica visione psicoanalitica per comprendere qualcosa della vita delle persone.
Ovunque il nostro sguardo sull’umanità si volga incontriamo qualcosa che possa essere considerata una forma religiosa. Il punto, ovviamente, è intendersi su cosa possiamo definire come “religione”.
Proviamo a pensare che il contatto armonico con il mondo, la condivisione emotiva con gli altri abitanti del nostro pianeta, rappresenti un nucleo fondamentale per la nostra esistenza, declinabile in vario modo, come una sorta di esigenza inevitabile per l’homo sapiens, ricordandosi che la parola “religione “, pur considerando la molteplicità delle ipotesi sulla sua origine etimologica, rimanda fondamentalmente al “mettere in relazione”, potendola noi quindi definire come un legame che unisca gli uomini tra loro e il mondo. non necessariamente legato alla credenza in un’entità che tradizionalmente definiremmo come un dio.
Esiste costantemente una mistica delle esperienze condivise del corpo e una corporeità di qualunque esperienza mistica, estatica e ascetica, inevitabilmente perché, sia le une che le altre, non sono che forme e tentativi di contatto fusionale ed armonico con il mondo e coloro che lo abitano.
A nostro parere esiste quindi un piacere in sé e per sé dello stare nel mondo in armonia con gli altri esseri che lo abitano e non è per nulla vero che i sentieri della promozione umana debbano sempre e comunque passare per vie dolorose, anzi, sempre più ci convinciamo che soprattutto il piacere abbia una funzione salvifica, conoscitiva, euristica per tutti gli esseri viventi del nostro pianeta.
Il funzionamento di quella funzione del nostro corpo che chiamiamo “mente” si rivela sempre più molteplice e l’antica concezione del bambino come “perverso polimorfo” viene sostituita sempre più da visioni multicentriche descrittive di una serie ininterrotta di flussi, di cicli di pensiero e desiderio in qualche modo riportabili a ritmi sempre in movimento, dagli itinerari mai del tutto uguali a se stessi ma anche in qualche modo sempre collegati tra loro.
Mentre quindi in molti casi l’attivazione erotica negli spazi della cura e della formazione, se ben gestita, anche se non appagata fisicamente può rappresentare l’energia per la promozione umana, la trasformazione, la crescita culturale e lo stimolo a essere efficacemente creativi, in altri casi specificatamente legati alla disabilità, sarebbe invece altrettanto necessario mettere in campo una fisicità autentica. Occorre a nostro parere fare una riflessione sull’opportunità, in alcuni casi, di un contatto fisico diretto, appagante o almeno facilitatore, anche nel ruolo di colui che si prende cura di qualcuno.
Forse non ci dovremmo spaventare, come invece spesso ci capita, sia come soggetti individuali sia soprattutto nei nostri ruoli istituzionali, di incontrare e toccare con finalità di piacere una vagina, un pene, un ano, una bocca, dei capezzoli e anche tutte le altri parti del nostro corpo, quando nell’ambito di un processo collettivo e condiviso si sia arrivati al considerare il contatto con questi “oggetti parziali”, un possibile tramite per la promozione umana.
Ma solo quando si sia arrivati, con ragionevole e collettivamente condivisa sicurezza, che lo siano veramente, per la promozione umana, e non come proiezioni di nostre aree perverse, come purtroppo potrebbe avvenire con grande facilità.
Esattamente come in altri casi la scelta ascetica può rappresentare la massima espressione di un’autentica armonia come, in altri casi ancora, un instabile sistema di copertura delle proprie patologie.
Al di la di tutto, su di un punto non intendiamo comunque transigere, non ci stancheremo mai di sottolineare che, affinché le scelte riguardo all’eros negli spazi della cura non siano dannose, devono essere comunque il prodotto di un processo collettivo di costruzione di consapevolezza perché qualunque progetto si realizzi, deve essere condiviso dalla maggior parte possibile degli attori di quello spazio per la semplice ragione che, contrariamente a quello che solitamente si pensa, la sessualità è solo apparentemente la cosa più intima della nostra vita, essendo invece, contemporaneamente anche la cosa più collettiva, più legata a una dimensione comunitaria, come prodotto di una continua ridiscussione dell’etica alla quale inevitabilmente appartiene e di una costante revisione della cultura che la costruisce.
Questo testo è fatto per essere diffuso, discusso e criticato. È stato concepito per tutti quelli che possano essere interessati alle questioni qui solo sfiorate e quindi operatori e professionisti della salute e della formazione, utenti dei servizi alla persona, loro familiari e conoscenti.
Speriamo che lo leggiate con un’attenzione sufficiente, questo testo, speriamo che ci pensiate quel tanto che basta e che, sia nel caso lo condividiate come sia nel caso non lo condividiate, rispondiate il più numerosi possibile al nostro invito a discuterne il 15 Maggio, alle ore 15 presso l’Aula Magna del Sant’Alessio, in via Carlo Tommaso Odescalchi, 38 a Roma.
A partire da questo incontro, l’Istituto per Ciechi Sant’Alessio, in collaborazione con l’Associazione “Materica” e con “La Scuola di Arti Terapie” propone infatti un comune percorso di riflessione che verrà coordinato dall’Avv. Antonio Organtini, dal Dott. Alessandro Tamino e dalla Dott.ssa Veronica Vernocchi.
Si tratterà di un seminario interattivo la cui durata prevista è di circa due ore.
È gradita una mail per confermare la propria partecipazione all’indirizzo: materica@materica.net.
Per info chiamare +393319137662
Verrà rilasciato un attestato di partecipazione.