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RELAZIONE DEL MEDICO RESPONSABILE, ALESSANDRO TAMINO, AL DIRETTORE GENERALE SULLE ARTI TERAPIE

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Roma, 11 Aprie 2016

 

Caro Antonio,

Stimolato dal colloquio con la giornalista cui hai conferito l’incarico di raccogliere le esperienze del nostro istituto ho pensato fosse utile, al di là del continuo confronto, peraltro sempre attivo, sia con te che con i Medici Responsabili, i Coordinatori dei vari settori coinvolti e, in particolare, con il Direttore Sanitario che ci legge per conoscenza, farti avere una breve relazione per aggiornarti su come sta procedendo il lavoro di arte terapia con gli utenti del Sant’Alessio.

Ti ricordo che era nelle mie intenzioni creare un sistema di gruppi in qualche modo tra loro interagenti e, soprattutto, interagenti con il mondo esterno con lo scopo di intervenire sia sulla comunità del nostro Centro, intesa come sistema di relazioni complesso, sia sulla più ampia comunità alla quale questo sistema appartiene, cioè sul contesto sociale.

Come quindi ho già avuto modo di illustrare, penso che il lavoro educativo, riabilitativo, psicoterapeutico e socializzante vada considerato come un sistema dinamico, un vero e proprio mosaico fluido che ci permetta di far sì che i nostri utenti possano usufruire sia di tutti i vantaggi legati alla necessità di spazi chiusi, nei quali agire interventi più tipicamente psicoterapeutici, sia di vivere altri spazi, comunque legati ai primi da un continuum, nei quali si entri più in contatto, fatte salve le debite cautele, con il mondo esterno, tramite metodiche artistiche che vengano percepite non come esclusivamente legate alla condizione di disabilità.

Occorre immaginare il percorso riabilitativo, socializzante e educativo come una serie di camere di decompressione attraversando le quali si passi da spazi della massima riservatezza (ma anche del massimo isolamento) a spazi della massima socialità e quindi della massima apertura.

Perché questo passaggio sia percepito nella maniera meno traumatica possibile – tutti ben sappiamo come i bruschi cambiamenti di setting, le separazioni e i nuovi incontri possano essere ansiogeni per la nostra utenza – secondo la mia idea e non solo certo solo la mia, è assai utile inserire piccole e graduali modifiche dei contesti, dosando adeguatamente i cambiamenti e i nuovi incontri.

In particolare vorrei dirti che, dopo quasi due anni di lavoro, credo di poter affermare che almeno due dei percorsi laboratoriali che ho organizzato sono pronti a fare un altro passo verso un’ulteriore e significativa condivisione del mondo esterno.

Il primo di questi percorsi è quello attivo con gli utenti a buon funzionamento cognitivo del Centro Diurno, secondo la metodologia del “Teatro della Cattiveria”.

Si tratta di un setting nel quale i partecipanti non sono ovviamente per nulla stimolati a raccontare cose personali ma, a un osservatore esterno, apparirebbero come una specie di corso di teatro d’improvvisazione.

I testi che vengono concepiti assieme agli stessi utenti, che pertanto svolgono anche il ruolo di sceneggiatori, sono improntati all’iperbole non certo “politically correct” ma a qualcosa che assomiglia molto al teatro popolare carnascialesco, secondo un modello teorico che ho già avuto modo di illustrare in seminari aperti agli utenti, ai loro familiari e agli operatori. Ti garantisco anche che, visto l’interesse che questi seminari hanno destato, ne sto organizzando anche altri.

Uno degli ultimi testi riguardava la morte ed era proprio finalizzato a stimolare la rielaborazione del recente lutto che ha colpito noi e i nostri utenti, la perdita di Paola.

Perché tu sappia come procediamo, in accordo con il Medico Responsabile del servizio, Dott.ssa Chiara del Bianco, con la Coordinatrice Sig.ra Donatella Pellegrini e con il Direttore Sanitario, appena giunta la notizia del decesso ho organizzato un incontro con tutti gli utenti e tutti gli operatori per accogliere insieme, in maniera per così dire “istituzionale” questa notizia.

Alcuni ne sono stati scossi, ma l’esperienza ci insegna che quando questi piani emotivi siano condivisi nella comunità, come in questo caso, si rendono assai più gestibili.

In effetti, così sembra sia avvenuto, riuscendo molti dei presenti anche a concepire dei brevi testi di saluto per Paola, testi che ho trascritto perché restassero come patrimonio comune del gruppo.

Nei modelli antropologico-culturali, che descrivono le fasi elaborative del lutto, troviamo che un aspetto centrale perché il processo possa attivarsi è la certezza emotiva, non solo cognitiva, che il soggetto sia veramente morto e che, per il nostro immaginario, non abbia alcuna intenzione di tornare dall’aldilà.

Quando abbiamo fatto, qualche giorno successivo, il nostro laboratorio del Teatro della Cattiveria, assieme agli utenti abbiamo elaborato questo canovaccio: uno scienziato dai modi che rimandano allo stereotipo dello scienziato pazzo, sperimenta su un morto un particolare farmaco in grado di farlo resuscitare. Questi, in effetti, resuscita ma, al contrario di quello che lo scienziato si aspettava, invece di ringraziarlo per essere tornato in vita, lo apostrofa duramente per essere stato disturbato e richiamato dal mondo dei morti nel quale ormai riposava e nel quale si trovava bene.

Assolutamente evidente il gioco di sponda, più utile di qualunque interpretazione psicoanalitica, messo in scena per favorire l’elaborazione e l’accettazione del recente lutto. Ogni utente rielaborava a modo suo il canovaccio, decidendo lui se fare la parte del morto o quello dello scienziato pazzo. Nessuno ha verbalizzato, rivivendolo, il dolore per la perdita di Paola e tutti sono usciti dall’incontro evidentemente sollevati e sottolineando quanto si fossero divertiti.

Del tutto lecito parlare, in questo caso, di un’efficace “catarsi”.

La nostra metodica prevede per questi incontri, come propedeutica alla vera e propria esperienza d’incontro con il pubblico, la partecipazione anche di persone che non siano utenti o operatori del Sant’Alessio. A volte parenti o amici degli utenti o degli operatori. Peraltro sarebbe assai utile che partecipasse anche la giornalista che hai incaricato di occuparsi della comunicazione.

In uno dei nostri laboratori abbiamo avuto il piacere di ospitare un tuo incaricato per una ricognizione finalizzata alla razionalizzazione organizzativa, accompagnato dalla Dott.ssa Marina Scarvaci, Coordinatrice dell’Ufficio Socio-amministrativo.

Come sempre, ovviamente, anche in questo caso la partecipazione di esterni che svolgano la funzione di “un embrione di pubblico”, avviene previo colloquio con il sottoscritto e informativa, anche solo verbale, da parte del Direttore Sanitario.

Le persone nuove vengono presentate come tali e, a conferma dell’efficacia anche di quest’aspetto della metodica, vengono sempre accolte con grande piacere dagli utenti, i quali quando vi sono queste presenze dal mondo “esterno” appaiono ancora più motivati.

L’altro percorso che sta arrivando alla possibilità di un’apertura con il mondo esterno è quello sulle simulate delle “situazioni tipo” nelle quali si può trovare un non vedente.

In questi gruppi, ai quali partecipano utenti con un ottimo grado di autonomia, si lavora chiedendo ai fruitori del percorso di raccontare un’occasione nella quale si siano trovati a disagio nel confrontarsi con il mondo esterno al contesto riabilitativo e che sia stata emotivamente significativa. Ad esempio, “quella volta che un cliente di un supermercato ha insinuato che uno di loro fosse un falso cieco per avvantaggiarsi nella fila alle casse”.

Discusso e organizzato il canovaccio, la breve sceneggiatura viene poi messa in scena dai partecipanti al gruppo che si distribuiscono le varie parti.  La nostra idea è di trascrivere i vari testi per farne dei radiodrammi da mandare in onda sulla Web Radio che, assieme agli utenti, stiamo progettando. Pensa, ad esempio, a un programma dal titolo “Cecità, istruzioni per l’uso”, o qualcosa del genere.

Sarei dell’idea di organizzare in tempi brevi una riunione per una progettazione a questo punto più dettagliata, delle varie possibilità. Tra l’altro, a riguardo del percorso che ho definito “Teatro della Cattiveria”, con gli utenti avremmo pensato di organizzare delle esperienze presso il MAXXI, che permettano quindi di realizzare un’ancor maggiore apertura e condivisione con il mondo esterno.

A mio parere, infatti, la partecipazione a questo gruppo di soggetti che non fossero né utenti e nemmeno operatori ha efficacemente svolto, a questo punto, un efficace ruolo propedeutico a un’ulteriore apertura.

In attesa di riscontro, colgo l’occasione per inviarti i migliori saluti, anche da parte degli utenti che hanno risposto con entusiasmo alla possibilità che tu facessi da interfaccia con il MAXXI per realizzare quest’ulteriore apertura al mondo esterno del loro percorso espressivo, riabilitativo e socializzante.

 

 

Dott. Alessandro Tamino

Consulente Psichiatra,

Medico Responsabile Ambulatorio Adulti

Istituto Sant’Alessio,

Direttore “Scuola di Arti Terapie”

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