Serena ha 26 anni, gli occhi e i capelli neri e un sorriso dolce. Ogni lunedì parte da Caserta con sua madre per arrivare al Centro Regionale Sant’Alessio di Roma. Per tre giorni a settimana, impara a riconquistare l’autonomia che la cecità le ha portato via. “Quando sono arrivata qui, l’11 gennaio, non sapevo camminare con il bastone, non utilizzavo il computer e non conoscevo il braille. Ora, ho iniziato a seguire i corsi di mobilità e orientamento, di braille e di fisioterapia”, racconta mentre attende che la sua lezione di tiloinformatica inizi.
Nel 2003 le è stato diagnosticato il linfoma di Hodgkin: sembrava fosse riuscita a sconfiggerlo e invece nel 2012, dopo nove anni, è tornato. “Al termine della chemioterapia, ho avuto uno scompenso cardiaco. Mi hanno attaccata ad una macchina senza troppe speranze di sopravvivenza. Non ho avuto danni al cervello ma, dopo un coma di trenta giorni, mi sono risvegliata cieca”, ricorda Serena.
“Può darsi che la perdita della vista sia stata causata dall’arresto cardiaco o dal fatto che ero nutrita per via parenterale e a volte si verificano dei quadri carenziali che provocano dei problemi neurologici. I medici non lo possono dire con certezza. Non solo ero non vedente, ma ero anche immobile nel letto: avevo una neuropatia che coinvolgeva tutti gli arti, una tracheostomia e un sondino naso gastrico per la nutrizione. Non parlavo, comunicavo con il labiale”.
Serena non si è scoraggiata e ha voluto subito rimettersi in piedi: “Quando ho iniziato la terapia all’ospedale Bambino Gesù, non riuscivo a muovere la testa e le braccia e non sentivo le gambe. Nei muscoli si erano formate delle calcificazioni. Stavo un secondo in piedi e poi mi ributtavo sul lettino, finché non sono riuscita a fare qualche passo”.
Dopo nove mesi Serena è stata dimessa. “All’inizio ho avuto paura. La mia casa non era organizzata per accogliere una persona che non riusciva ancora a muoversi bene. Ci sono dei gradini molti alti e temevo che per entrare mi avrebbero dovuta portare di peso, invece ho deciso di provare: ci ho messo 5 minuti per salire 20 gradini però ce l’ho fatta”, dice con orgoglio.
Recuperata la mobilità, Serena ha capito che era il momento di tornare ad essere autonoma. “Dovevo fare qualcosa per la mia condizione di non vedente. Ho iniziato a frequentare l’Unione Italiana Ciechi a Caserta ma volevo di più. Un giorno una mamma che avevo conosciuto in ospedale mi ha consigliato di andare al Sant’Alessio. Ci hanno contattato direttamente loro e a gennaio ho iniziato le lezioni. La cosa più bella che ho imparato qui è stata l’utilizzo del bastone. Ho scoperto che è un ausilio fantastico. Sto cercando di allenare anche l’orientamento sonoro: il rumore delle macchine è un ottimo strumento per capire la direzione da seguire”.
Adesso Serena sogna di poter tornare all’università: “Prima di ammalarmi, ero iscritta al quinto anno di medicina. Sto cercando di capire se posso continuare gli studi in questo campo. Il problema è che questa facoltà richiede in molti ambiti la vista. Vivere facendo dei castelli in aria non ha molto senso: penso che sia innegabile il fatto che ci sia una disabilità. Le difficoltà esistono, ma se c’è un mezzo per superarle, voglio conoscerlo. Per questo sto cercando di reperire i libri di testo e poi prenderò una decisione: solo la conoscenza ci permette di scegliere. Spero nel frattempo di diventare una persona autonoma tanto quanto lo ero prima. Diversa, ma autonoma allo stesso modo”.